mercoledì 3 agosto 2011

IO C'ERO: PAVIA - JUVECASERTA (2007)


Tante storie belle da raccontare sulla Juvecaserta, sul tifo e sulle avventure seguendola in giro per l’Italia, ma la storia di Caserta non è tutte vittorie, ci sono stati giorni difficili, come quel 22 aprile, in una città che molti sotto la Reggia evitano accuratamente di nominare.
Partimmo di notte, da piazza Pitesti, tanti pullman che accoglievano facce assonnate, di persone che non avrebbero per nulla al mondo perso una partita, la partita, che avrebbe potuto sancire il passaggio tra le grandi, in quel campionato che da tempo non vedevamo se non su Sky.
Chi dormiva, chi ascoltava musica, chi chiacchierava perché ormai il sonno l’aveva perso, e si vedevano, girando per la città, altre carovane, tante auto ai caselli, pronti per la partenza, c’era chi arrivava chiedendo se ci fosse ancora posto nei “pullman per il paradiso”,era notte inoltrata, varcammo la barriera e ci mettemmo in cammino. Nessuna sosta extra autostrada, volevamo arrivare il prima possibile.
Erano tanti i pullman in viaggio per Pavia, in quei giorni c’era anche la visita del Papa, quella che quasi ci costava la trasferta per “pericoli di ordine pubblico”, ma non appena ci si fermava in autogrill, si distinguevano i pellegrini dai “diavoli”, e infatti più di un pullman dell’Inferno è stato fermato, arrivando poi a partita in corso, perché trattenuti in Questura.
Anche per strada si riconoscevano i casertani, vessilli bianconeri in vista, e insegne “Pa’via ru suogn”, per la strada del sogno, e quando le auto si avvicinavano era tutto uno strombazzare per salutare i fratelli in viaggio.
Un cordone di auto che diventavano sempre più numerose mano a mano che ci si avvicinava, c’è anche chi forata la gomma, raggiungeva la città lombarda in un auto di servizio, perché proprio non si poteva mancare.

Si arriva al PalaRavizza che è tutto un pullulare di casertani, un mosaico colorito di facce, di vessilli, e a farla da padrone erano i fiaschi di vino e i panini, come fosse una scampagnata, ma tutti sapevamo che non lo era. Cori da subito, l’inferno arriva compatto, con striscione in testa, si entra da una scaletta che porta al nostro settore.  
1400 posti riservati, 2246 casertani, si stava stretti, tutti in piedi, ma pareva che a nessuno importasse.

Il clima era incandescente, e i tifosi pavesi applaudivano quei casertani che in cinque minuti avevano colonizzato metà palaRavizza, e con i cori, non si sentiva voce che non fosse bianconera.
Il clima era già di festa, forse i giocatori si erano lasciati contagiare, e la partita non andò come avremmo voluto, avremmo desiderato, e i casertani in lacrime non si contavano, mentre ancora i tribunari pavesini inveivano e sbeffeggiavano 2246 cuori indomiti, feriti, e solo la curva pavesina li richiamò, mostrando che la sportività non è ad appannaggio dei soli bravi ragazzi delle tribune.
Noi, feriti dentro, passammo un viaggio di ritorno da incubo, a rimuginare, col sonno che ci aveva lasciato ventiquattro ore prima, e non voleva più farsi vivo. Ci si chiedeva come, perché, cosa fosse andato storto, perché McKie, perché Bencaster, come mai non ci credettero.


Nella tristezza generale, c’era chi già preparava la rivincita, e in tanti non sapevano che come una fenice, dalle ceneri di Pavia, nacque la squadra che a Jesi, l’8 giugno dell’anno dopo, volava in serie A, finalmente, dopo un altro esodo, ma questa, è tutta un’altra storia…

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