lunedì 19 gennaio 2015

HENRY DOMERCANT, STRUGGLE FOR PLEASURE


37. Keith Langford - €1.15 million euros net ($3.0 million NBA salary)

38. David Andersen - €1.15 million euros net ($3.0 million NBA salary)

39. Henry Domercant - €1.15 million euros net ($3.0 million NBA salary)

40. David Hawkins - €1.15 million euros net ($3.0 million NBA salary)

Quella che avete appena letto è una classifica, o meglio, una porzione che va dalla 37° alla 40° posizione, e che riguarda i giocatori più pagati d'Europa nella stagione 2012/13. Due anni fa, più o meno.
Cifra consistente, non certo utile nel valutare l'impatto che avrà su Caserta, ma sicuramente indicativo del percorso che ha seguito con assoluta caparbietà questo ragazzo, nato e cresciuto a Chicago, e consacratosi nel Vecchio Continente.
I genitori si trasferirono in America negli anni '70, lasciando povertà e miseria nella natìa Haiti. La vita negli Stati Uniti sorrise ai Domercant, che trovarono stabilità e sicurezza, ma la sorte è imprevedibile, e come tale, costrinse Henry a fare a meno della figura paterna ad appena 7 anni, a causa di un'incidente d'auto.

La tappa successiva per lui fu Naperville, Illinois. Cittadina tra le migliori dell'intero Mid West per vivibilità, e tra le tante strutture ospitate, una High School estremamente nota per il contributo allo sport professionistico statunitense tra football e “soccer”, meno per il basket. Molto meno.
Anche per questo le sue straordinarie cifre gli “regalano” solo un invito in un piccolo-medio college della Nazione, Eastern Illinois.
Ed è proprio nei 180 kilometri che percorre verso Sud che Henry Domercant conquisterà la ribalta negli USA prima, e in Europa poi.
His work ethic stands out above anyone else I’ve played with”

Nel 1999, quando s'iscrive all'Università, Henry non porta in dote una fisicità pazzesca o l'altezza, e neppure un solido background di esperienze tecniche e tattiche.
Quando uscirà, nel 2003, sarà solo l'altezza a difettargli, e credetemi: se fosse stato anche solo minimamente possibile lavorarci su, sarebbe diventato un 7 piedi.
La frase che apre il paragrafo è di Matt Britton, point guard che accompagnò Henry nelle sue stagioni da Freshman e sophomore, e che imbeccò più di una volta il dinamic duo più dominante mai visto a quelle latitudini, composto dal nostro, e da Kyle Hill (che non solo abbiamo visto in Italia, tra Biella e Udine, ma stesso nello Spaghetti circuit riuscì a rendersi protagonista di un altro “dinamic duo”, indimenticato in Friuli, con Jerome Allen).
Domercant, partito sfruttando il mero (e sconfinato) talento, è cresciuto di anno in anno in maniera così esponenziale, che se potessimo tornare indietro nel tempo, e mostrassimo agli alumni di EIU le carriere del nativo di Chicago e del gemello Hill, vi prenderebbero in giro, perchè è evidente che avete confuso i nominativi. 


La sua etica lavorativa risultava così incredibile per chi si trovava intorno a lui, che era impossibile non seguirlo ovunque. Divenne il leader dei Panthers, sia emotivo, sia realizzativo. E come scorer riuscì a diventare il migliore della Conference, e poi della Nazione, in un autentico climax, sfruttando l'arma che più di ogni altra l'ha contraddistinto: il jump shot.
E lo stesso jump shot e la sua maturazione, è il più fulgido esempio di che razza di lavoratore il nostro Henry sia.

Coach, cosa posso fare per diventare un giocatore migliore?” - è la domanda di un 15enne di Chicago posta al coach degli Huskies di Naperville, Mark Tindo.
Metter su un jump shot affidabile”, rispose lui.
Un anno, tanto gli bastò per riuscire nel dettame del suo allenatore, che allora fu costretto a rilanciare: “Ottimo lavoro, ma se vuoi diventare un gran giocatore, devi metter su un jump shot livello NBA”.
Ancora un anno di HS, e Henry mostrò all'intero Illinois di non avere eguali in questo fondamentale. E non smise certo di migliorare.
Fu proprio Tindo a consigliargli coach Samuels ed EIU, con cui firmò ancor prima di diplomarsi, in segno di riconoscenza.

With the game on the line and 2.8 seconds left, Britton was bloodied while being fouled. Samuels called on walk-on freshman guard Chris Herrera, who had sat the entire game, to go to the line for Britton. Herrera swished both free throws. That morning he had made 100 shots with Domercant.

Coach Rick Samuels, dal 1980 a Charleston, era noto per essere uno dei migliori degli Stati Uniti nello sgrezzare e lanciare giocatori prodotti da “piccoli mercati”. E quando Henry arriva, lo stesso Samuels sa di avere tra le mani un pezzo pregiato. Come giocatore e come uomo.
Sceglie di vivere lontano dalle distrazioni del dormitorio del Campus, da solo. In camera ha una bandiera haitiana da un lato, e i suoi racconti dall'altro. Scrittore nel tempo libero, o almeno, in quel poco che non consacrava alla Lantz Arena, terreno di gioco dei Panthers.
I suoi allenamenti mattutini fuori orario divennero, nel giro di pochi mesi, frequentati dall'intera squadra, tutti seguivano “Oh, Henry” (nickname ai tempi del College, c'entrano delle barrette di cioccolata) e la sua etica lavorativa. E la citazione in grassetto poco più in alto è forse il manifesto del ruolo di Domercant in quella squadra. 
 

Il talento offensivo spropositato, unito a quella forza mentale e all'essere il miglior realizzatore dell'intera NCAA nel suo anno da Senior, furono le componenti che gli permisero l'accesso nell'Hall of Fame di Eastern Illinois, ma non bastarono a rendere l'haitiano un candidato credibile per uno spot in NBA: troppo basso, il responso degli scout.
Per lui allora inizia la peregrinazione, ad alto livello, in Europa.
Le cifre stellari da Rookie in Turchia, al Pinar, rendono il ragazzo appetibile per mezza Europa, ma a spuntarla e l'Efes di Instanbul, a suon di quattrini, ottimamente spesi.
Vince il suo primo trofeo, il Campionato Turco, e l'anno seguente la Coppa Nazionale.
La tappa successiva è il Pireo, l'Olympiakos, di cui si innamora per “la vicinanza al mare”.
Di qui in poi è tutto un viaggiare tra alcuni dei luoghi più incredibili d'Europa: Mosca, Siena, San Pietroburgo, e infine il ritorno ad Instanbul, al Galatasaray.

In questi 12 anni in cui ha raggiunto quasi ogni traguardo disponibile, compreso lo sfizio di prender parte ad una competizione internazionale con la canotta della Bosnia, ha continuato a lavorare, ad adattarsi, passando da scorer puro a tiratore di striscia, fino ad essere uno specialista da 19' a partita nella Siena di Pianigiani (e nonostante l'impiego limitato, ottenne un posto nel secondo miglior quintetto dell'Eurolega).
Al Kazan ha forse vissuto una delle sue migliori stagioni, e il Gala ha dovuto versare un sostanzioso bonifico per ottenerne le prestazioni, due anni fa.
Un brutto infortunio, il recupero, ma all'alba del 2014 ancora una volta nella sua carriera, non hanno creduto in lui. E ora l'opportunità la offre Caserta, probabilmente il contesto più difficile, la sfida più ardua. Deve salvarci, e solo Dio sa quanto dovrà lavorare per farlo.

 
(Chiudiamo con il riferimento musicale presente nel titolo, che ormai ci siamo presi l'abitudine e pare brutto)

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