domenica 9 agosto 2015

BOBBY JONES, STRAIGHT OUTTA COMPTON


GIFT FOR GUNS
Strade larghe, ampia disponibilità di case unifamiliari e la grande comunità nera di Watts a due passi. Quando negli anni ’50 la classe media di colore dovette decidere in quale zona di Los Angeles stabilirsi, dopo l’abbattimento (almeno sulla carta…) della segregazione razziale, Compton sembrò la scelta più logica. Il problema fu che ai residenti, in maggioranza bianchi, la cosa non faceva proprio impazzire. Anzi, diciamo pure che nel giro di un decennio i signori tolsero il disturbo: tutti ad Artesia, Paramount e Santa Fè Springs, dove c’erano meno tasse, meno criminalità e di neri se ne vedevano pochi in giro.
Siamo negli anni ‘70: a Compton il 90% della popolazione è di colore, la povertà è diffusa e i servizi scarseggiano, soprattutto perché i ricchi e le relative tasse che pagavano non ci sono praticamente più. Come se non bastasse arriva il crack, un’epidemia di crack, e arrivano anche gli ispanici con le loro gangs latine.

La città, che conta poco meno di 100.000 abitanti, diventa una delle più pericolose degli interi Stati Uniti. Il tasso di omicidi è otto volte superiore alla media nazionale, e molti di quei morti li causa la guerra tra le due storiche bande di strada che si contendono la parte sud della città degli angeli, i Crips e i Bloods, gente con cui non vorreste avere a che fare.

In questo contesto degradato nasce sul finire degli anni ‘80 il fenomeno del gangsta rap, i cui testi violenti e spinti diventano denuncia e portano l’attenzione nazionale su ciò che accade nella cittadina della west coast. Il disco simbolo di questa "sveglia sociale" è Straight Outta Compton degli N.W.A., gruppo fondato nell ’86, con risorse economiche di dubbia legalità, da due afroamericani nativi della città: Eazy-E (nato Eric Lynn Wright e morto, abbastanza presto, a Compton, ovviamente) e Dr. Dre, che grazie alle sue Beats è attualmente vicino a diventare il primo miliardario (non milionario eh, miliardario) nella storia dell’ Hip Hop, e di Compton, ovviamente. Una discreta rivincita sociale per il Dottore, direi.
Dopo un notevole calo degli omicidi nei primi anni 2000, nel 2005 i morti ammazzati aumentano improvvisamente del 45%. Un massacro. La polizia di L.A. lancia un programma chiamato "Gift for Guns": ad ogni cittadino che consegna un’arma da fuoco viene regalato un buono da 100$ da spendere in varie catene di supermercati. L’iniziativa ha un successo enorme e le cose sembrano migliorare, ma purtroppo Compton resta Compton. Ancora oggi.

BOBBY (JUNIOR)
Il lato "positivo", se così si può definire, di crescere in un ambiente del genere è che capisci molto presto che il mondo è un posto duro, e che potresti non farcela manco se ti impegni con tutte le tue forze, figuriamoci se non lo fai. Il numero di persone speciali, di gente nata in quei 26 chilometri quadrati che ce l’ha fatta nonostante tutto, è sorprendente.
Ad esempio, a Compton capita che Richard Williams, informatico con la malattia per il tennis (e per i soldi), abbia cinque figlie. Le prime tre non sono adatte a giocare, e tra l’altro la terza gliel’ammazzano, ma la quarta e la quinta si chiamano Venus e Serena. Si, quelle là.
Oppure capita che un ragazzino che vive da solo con sua nonna (padre e madre non pervenuti), e che fatica a mettere a tavola pranzo e cena insieme nello stesso giorno si chiami, ironia della sorte, Barone. Il resto è storia.
Altri bravi con il pallone da basket? Brandon Jennings, Tyson Chandler, Tayshaun Prince, DeMar DeRozan, Arron Afflalo, Jeff Trepagnier, Alex Acker. Tutti passati nella NBA, tutti nati e cresciuti tra gli spari delle strade di Compton.

"Io non ho mai sparato, né sono mai stato colpito. Però mi ci sono trovato in mezzo un sacco di volte ed ho sempre cercato di nascondermi bene.
Alto come sono, sarei stato un bersaglio facilissimo!"
A parlare è Bobby, un altro ragazzo di Compton che ce l’ha fatta. In effetti 201 cm per 100 kg non sono comodissimi da portare a spasso in una sparatoria, ma tornano molto utili in un campo da basket, e Bobby, che di cognome fa Jones, lo sa bene.
La storia più o meno inizia così: è Natale e Bobby senior, padre del nostro Bobby che in realtà si chiama Bobby junior (‘mericani…) decide di regalare a suo figlio un canestro.
Quell’anello, appeso nel modo più stars&stripes possibile alla parte alta del garage, diventa in poche settimane il punto di ritrovo di tutti i ragazzini del vicinato: è lì che Bobby gioca le sue prime partite di basket. Il piccolo di casa Jones è diverso dagli altri però, con quel pallone ci sa fare sul serio, ed ecco che, praticamente ancora bambino, inizia a prendere parte ai vari tornei e leghe estive della zona.
Ora, se vivi a Compton e sai giocare sul serio a pallacanestro, raggiunta l’età del liceo molto probabilmente andrai alla Dominguez High School, è quasi matematico (Brandon Jennings? Dominiguez. Tyson Chandler e Tayshaun Prince? Sempre Dominiguez.)
Con Bobby in campo la squadra del liceo vince per tre anni consecutivi (dal 1999 al 2001) il titolo statale. Nell’ultima delle tre stagioni vincenti BJ gioca come non aveva mai giocato prima: 16 punti, 5 rimbalzi, 3 assist e 3 rubate di media a partita. L’ ultimo anno di high school Bobby lo passa alla Long Beach Polytechnic High School, una prep school (che è una scuola intermedia tra liceo e università, scelta molto comune negli States). 

Cambia la maglia ma il dominio continua: 19 punti e 9 rimbalzi di media, vittoria del campionato, inserito nel 10-man California all-state team,  tra i 100 migliori prospetti a livello nazionale e nei primi 25 della West Coast.
A questo punto possiamo dire tranquillamente che papà Jones i reagli di Natale li azzecca eccome.

GOODBYE CALIFORNIA
Arriva per BJ il momento della scelta del college. Via da Compton e dal caldo sole della California, a Washington lo aspettano gli Huskies di coach Lorenzo Romar.
Bobby non delude le aspettative: nei tre anni passati alla University of Washington (dove avrà come compagni di squadra, tra gli altri, Brandon Roy e quel matto di Nate Robinson) non salta una partita e mette a referto 10.4 punti, 4.9 rimbalzi, 1.3 assist e 1.2 rubate di media. Al termine della sua carriera universitaria Jones risulta il 20° miglior marcatore nella storia della scuola con 1.226 punti e il 4° in assoluto per palle rubate, con 134.

Dopo il college Jones sogna una chiamata nella Lega (L maiuscola), che non si fa attendere: al draft NBA del 2006 lo scelgono al secondo giro i Timberwolves, che lo spediscono subito dopo ai 76ers di Philadelphia. 


Nell’annata a Philly viene impiegato sia da ala piccola sia da lungo atipico, ma l’esperimento non funziona. Per gli standard NBA Bobby è troppo grosso per giocare da 2 o da 3, ed è fisicamente sotto i pariruolo se gviene schierato da ala grande. Tecnicamente, un discreto casino.
La stagione successiva passa ai Nuggets, almeno fino a Gennaio, mese in cui viene rilasciato da Denver. Le ultime settimane di regualr season Bobby le trascorrerà viaggiando di città in città firmando contratti di pochi giorni (i più frequenti sono ten-days contract) con varie franchigie: Memphis Grizzlies, Houston Rockets, Miami Heat, San Antonio Spurs e, per le ultime settimane di stagione, di nuovo Denver Nuggets.
Ah, nella parentesi con i Grizzlies Jones gioca la miglior partita della sua carriera NBA, contro i Seattle Supersonics del rookie Kevin Durant: 20 punti, 13 rimbalzi e 7 assist in 40 minuti sul parquet.
La stagione successiva, quella 2008/09, BJ la passa in D-League ai Sioux Falls Skyforce: 16 punti e 7.6 rimbalzi di media. Le cifre sono ottime, ma il purgatorio della lega di sviluppo non fa decisamente per lui. 

Quella stessa estate Jones prende una decisione che gli cambierà la vita. Niente più D-League, si cambia campionato, nazione e contienente: il biglietto aereo per l’Italia è pronto.

THE OVERSEAS JOURNEY
Bobby Jones firma con Teramo e atterra in Italia nell’estate del 2009: lui non lo sa ancora, ma ripeterà lo stesso viaggio anche per i successivi 6 anni. Da quel momento in poi lo stivale diventa la sue seconda casa: Teramo, Montegranaro (stagione poi chiusa a Forlì, giusto il tempo di essere il principale artefice della salvezza con 19 punti + 9 rimbalzi di media), Pistoia e, negli ultimi tre anni, Roma (la scorsa stagione 11 punti, 5 rimbalzi e 1.5 rubate a partita).
In Italia Bobby trova la sua dimensione. È un'ala grande ma è in grado di ricoprire tre ruoli, può giocare all’occorrenza da 3 nei quintetti alti e anche minuti da 5 nel caso si vada di small-ball. Giocatore molto emotivo, non è raro vederlo giocare (anche nell’arco della stessa partita) come fosse spaesato per poi accendersi improvvisamente e diventare quasi immarcabile, grazie al discreto tiro da 3 e allo stesso tempo dall’ottimo gioco in post, doti che gli consentono spesso di trovare un mismatch favorevole contro avversari più lenti o di taglia più piccola.




Limitarsi però a raccontare solo il "Bobby giocatore da basket" sarebbe un peccato imperdonabile, Jones è infatti un personaggio a 360°, basta andare sul suo sito per capire il perchè. Cliccando infatti sul suo nome si apre un menù con 4 categorie: athlete, director, author, blogger.
Il messaggio è chiaro: oltre il Bobby Jones giocatore, ce ne sono altri 3.
C’è il Bobby blogger, che tiene un blog in cui scrive (benissimo) dei più svariati temi, c’è il Bobby autore di un libro, Basketball Jones, che racconta la esperienza da journeyman nel suo secondo anno NBA ("King of ten-days contracts") e soprattutto c’è il Bobby regista.
Da sempre appassionato di serie TV e cinema, BJ ha addirittura una sua casa di produzione, la Hollywood Jones Productions, ed il 24 Luglio di quest'anno è uscito il suo primo film da regista: Basketball Jones: The Overseas Journey.
Il film/documentario racconta le storie, i problemi e le aspirazioni di giocatori statunitensi che, come lui, hanno scelto di venire a giocare a pallacanestro in Europa, soffermandosi sulla visione che hanno, da "stranieri", del nostro basket. Dalla prewiev sembra davvero un progetto molto interessante, dategli un'occhiata che merita.

 

Quest’anno l’ormai consueto viaggio estivo dagli States in Italia avrà come meta finale Caserta. Considerando tutti chilometri macinati, le città visitate, le diverse culture e le migliaia di persone incrociate durante il lungo viaggio che l’ha portato via dal caldo sole della California, i giorni passati da ragazzino a tirare nel canestro del garage di casa Jones e tra le pericolose strade di Compton, sembrano ormai solo un lontano ricordo.
Poi apri il suo account Twitter e scopri che, nonostante tutto, in qualunque posto del mondo si trovi, si passa sempre e comunque da lì.




Da C-O-M-P-T-O-N, ovviamente.

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