Gran parte della storia della JuveCaserta si può
riassumere con un detto popolare, di quelli che non sbagliano mai: ci manca
sempre un soldo per fare una lira.
Lo sappiamo bene, finali perse, infortuni decisivi al momento sbagliato, falli non fischiati su Gentile nelle finali di coppa delle coppe (era fallo!).
Questa è solo una delle tante storie bianconere purtroppo senza lieto fine, un affascinante intreccio di vite e di uomini che vale la pena raccontare.
Lo sappiamo bene, finali perse, infortuni decisivi al momento sbagliato, falli non fischiati su Gentile nelle finali di coppa delle coppe (era fallo!).
Questa è solo una delle tante storie bianconere purtroppo senza lieto fine, un affascinante intreccio di vite e di uomini che vale la pena raccontare.
1972 - TUZLA, Bosnia ed Erzegovina
Nella "città del sale" vive una promessa dello sport, un ragazzino che a tennis ci sa proprio fare. Con la racchetta in mano Mirza Delibasic è il miglior under16 della nazione, il futuro sui campi di terra rossa si prospetta brillante. Anzi no.
Due anni dopo ce lo ritroviamo, alto 197 cm, a mettere a ferro e fuoco i canestri della seconda divisione nazionale, con addosso la maglia dello Sloboda, la squadra cittadina.
Capelli lunghi, magro come pochi, viaggia a 40 punti di media con uno stile di gioco elettrizzante, anarchico, sicuramente avanguardista. Con lui cambia tutto: uno alto quanto un'ala che tratta la palla meglio di un play in Europa non si era mai visto. Passaggi no-look, dietro la schiena, visione e istinti cestistici clamorosi (e quelli non si allenano), mano mortifera, coordinazione ed atletismo fuori dalla norma, che a guardarlo non si direbbe.
Ha 18 anni, è estremamente intelligente, pensa troppo, e oltre al basket ha un altro paio di passioni: le Marlboro la Rakija, il corrispettivo balcano della vodka. Passioni pericolose ma sotto controllo, che non interferiscono assolutamente con il dominio che esercita sera dopo sera sui legni bosniaci.
Mirza Delibasic è un genio, il miglior talento della nazione, è Pistol 'Pete' Maravich con la sigaretta in bocca, e il futuro sui campi da basket si prospetta brillante. Per davvero stavolta.
Nella "città del sale" vive una promessa dello sport, un ragazzino che a tennis ci sa proprio fare. Con la racchetta in mano Mirza Delibasic è il miglior under16 della nazione, il futuro sui campi di terra rossa si prospetta brillante. Anzi no.
Due anni dopo ce lo ritroviamo, alto 197 cm, a mettere a ferro e fuoco i canestri della seconda divisione nazionale, con addosso la maglia dello Sloboda, la squadra cittadina.
Capelli lunghi, magro come pochi, viaggia a 40 punti di media con uno stile di gioco elettrizzante, anarchico, sicuramente avanguardista. Con lui cambia tutto: uno alto quanto un'ala che tratta la palla meglio di un play in Europa non si era mai visto. Passaggi no-look, dietro la schiena, visione e istinti cestistici clamorosi (e quelli non si allenano), mano mortifera, coordinazione ed atletismo fuori dalla norma, che a guardarlo non si direbbe.
Ha 18 anni, è estremamente intelligente, pensa troppo, e oltre al basket ha un altro paio di passioni: le Marlboro la Rakija, il corrispettivo balcano della vodka. Passioni pericolose ma sotto controllo, che non interferiscono assolutamente con il dominio che esercita sera dopo sera sui legni bosniaci.
Mirza Delibasic è un genio, il miglior talento della nazione, è Pistol 'Pete' Maravich con la sigaretta in bocca, e il futuro sui campi da basket si prospetta brillante. Per davvero stavolta.
Ovviamente le offerte importanti non tardano ad arrivare:
la Stella Rossa di Belgrado lo vuole tra le sue fila.
La classica storia del giovane campione che va a giocare per la squadra più potente della lega però non si concretizza, sabotata da un coach di soli 25 anni che un giorno bussa alla porta di casa Delibasic, convince Mirza che sotto la sua guida diventerà il più grande slavo di sempre ad aver mai giocato a basket e lo porta con lui a Sarajevo. Si chiama Bogdan 'Boscia' Tanjevic, le Marlboro piacciono molto anche a lui.
La scelta di Mirza si rivelerà giusta. Il suo gioco devastante emerge presto, bisognerà però aspettare un po' di tempo, 6 anni, per iniziare a collezionare trofei.
Stagione 1978/79: Delibasic, il cecchino Zarko Varajic e il centro Ratko Radvanovic decidono che quell'anno si gioca per il secondo posto. Il Bosna Sarajevo vince campionato (lo vincerà anche l'anno successivo) e coppa di Lega. Ma non è abbastanza, è tempo di fare la storia del basket: nella semifinale della coppa dei campioni Sarajevo elimina il Real Madrid dopo una partita epica, finita 114-109 dopo i supplementari, e in finale mette fine alla dinastia di Varese, che cade sotto i colpi di Varajic (45 punti) e Delibasic (30 punti).
Oltre al Bosna, Mirza domina anche con la nazionale, una Jugoslavia dal talento imbarazzante che oltre a Delibasic schierava gente del calibro di Zoran Slavnic e Mr. 70 punti Drazen Dalipagic. Tra il 1975 e il 1981 arriva un oro mondiale, due ori europei, un argento e un oro olimpico. Irreale.
Mirza Delibasic diventa un'icona, l'idolo di un intero popolo che vive per la pallacanestro. È il più grande slavo che abbia mai giocato a basket, Boscia non diceva cazzate.
1979 - SAN PAOLO, Brasile
In realtà nell'annata magica del Bosna Sarajevo, quella dei 3 trofei, una macchia ci sarebbe. La finale di Coppa Intercontinentale (manifestazione giocata fino al 1987 tra i campioni di Eurolega e quelli della FIBA American League) persa contro l'Esporte Clube Sirio, i campioni di Brasile. È una partita strana, il Bosna è sicuramente superiore, ed infatti controlla per larghi tratti il match, tanto che il #14 del Sirio, 21 anni, tale Oscar Schmidt, piange in campo per la delusione. Il problema per Boscia è che quello oltre a piangere segna pure. Tanto. Troppo. Incredibilmente, canestro dopo canestro, Oscar porta la squadra ai supplementari e poi alla vittoria. Chiuderà con 42 punti. Delibasic esce sconfitto ma ne mette comunque 32.
Oscar Schmidt è un'assoluta sorpresa per gli slavi di Boscia, ma in patria è già conosciuto da tempo come Mão Santa, la mano santa. È da quando, appena quindicenne, si rese conto che con quel fisico magari era meglio lasciar perdere il calcio (primo, secondo e terzo sport nazionale) che brucia retine come non ci fosse un domani. Segna letteralmente da qualsiasi posizione del campo, è automatico, non c'è altro aggettivo per definirlo. Una macchina assemblata dalla genetica per segnare canestri.
La classica storia del giovane campione che va a giocare per la squadra più potente della lega però non si concretizza, sabotata da un coach di soli 25 anni che un giorno bussa alla porta di casa Delibasic, convince Mirza che sotto la sua guida diventerà il più grande slavo di sempre ad aver mai giocato a basket e lo porta con lui a Sarajevo. Si chiama Bogdan 'Boscia' Tanjevic, le Marlboro piacciono molto anche a lui.
La scelta di Mirza si rivelerà giusta. Il suo gioco devastante emerge presto, bisognerà però aspettare un po' di tempo, 6 anni, per iniziare a collezionare trofei.
Stagione 1978/79: Delibasic, il cecchino Zarko Varajic e il centro Ratko Radvanovic decidono che quell'anno si gioca per il secondo posto. Il Bosna Sarajevo vince campionato (lo vincerà anche l'anno successivo) e coppa di Lega. Ma non è abbastanza, è tempo di fare la storia del basket: nella semifinale della coppa dei campioni Sarajevo elimina il Real Madrid dopo una partita epica, finita 114-109 dopo i supplementari, e in finale mette fine alla dinastia di Varese, che cade sotto i colpi di Varajic (45 punti) e Delibasic (30 punti).
Oltre al Bosna, Mirza domina anche con la nazionale, una Jugoslavia dal talento imbarazzante che oltre a Delibasic schierava gente del calibro di Zoran Slavnic e Mr. 70 punti Drazen Dalipagic. Tra il 1975 e il 1981 arriva un oro mondiale, due ori europei, un argento e un oro olimpico. Irreale.
Mirza Delibasic diventa un'icona, l'idolo di un intero popolo che vive per la pallacanestro. È il più grande slavo che abbia mai giocato a basket, Boscia non diceva cazzate.
Più anni '70 di così... |
1979 - SAN PAOLO, Brasile
In realtà nell'annata magica del Bosna Sarajevo, quella dei 3 trofei, una macchia ci sarebbe. La finale di Coppa Intercontinentale (manifestazione giocata fino al 1987 tra i campioni di Eurolega e quelli della FIBA American League) persa contro l'Esporte Clube Sirio, i campioni di Brasile. È una partita strana, il Bosna è sicuramente superiore, ed infatti controlla per larghi tratti il match, tanto che il #14 del Sirio, 21 anni, tale Oscar Schmidt, piange in campo per la delusione. Il problema per Boscia è che quello oltre a piangere segna pure. Tanto. Troppo. Incredibilmente, canestro dopo canestro, Oscar porta la squadra ai supplementari e poi alla vittoria. Chiuderà con 42 punti. Delibasic esce sconfitto ma ne mette comunque 32.
Oscar Schmidt è un'assoluta sorpresa per gli slavi di Boscia, ma in patria è già conosciuto da tempo come Mão Santa, la mano santa. È da quando, appena quindicenne, si rese conto che con quel fisico magari era meglio lasciar perdere il calcio (primo, secondo e terzo sport nazionale) che brucia retine come non ci fosse un domani. Segna letteralmente da qualsiasi posizione del campo, è automatico, non c'è altro aggettivo per definirlo. Una macchina assemblata dalla genetica per segnare canestri.
Si, è lui. |
1981 - MADRID, Spagna
Dopo il secondo titolo jugoslavo consecutivo, quello del 1980, vinto con Delibasic ancora assoluto protagonista, Tanjevic viene chiamato ad allenare la Jugoslavia. Per Mirza è ora di cambiare aria, di dimostrare qualcosa anche al di fuori dei confini slavi.
Il Real Madrid, che lo conosce bene, non si lascia scappare l'occasione.
Delibasic resta in Spagna per due anni, durante i quali porta, insieme all'amico Drazen Dalipagic, i Blancos sul tetto di Spagna nel 1982. La coppia slava, quando sintonizzata, è micidiale, ma il rendimento di Mirza è altalenante, strano per uno come lui.
Le motivazioni vanno cercate fuori dal campo: durante la stagione 1982/83 il suo matrimonio fallisce, il profeta di Tuzla si ritrova all'improvviso senza la persona amata, a migliaia di km da casa. I presupposti per rafforzare pericolosamente il vecchio legame con l'alcol ci sono tutti, purtroppo.
1982 - CASERTA, Italia
La JuveCaserta è una squadra di A2 con ambizioni di promozione. L'anno prima l'approdo alla massima serie era sfumato a causa dello spareggio di Siena contro Venezia, fatto che induce Maggiò a riprovarci con ancora più determinazione, non prima però di aver rivoluzionato la squadra, mandando via a fine stagione coach McMillan e i due americani Mike Stewart e Lloyd Batts.
Arriva l'estate, ci sono soldi (lo sponsor è importante, Indesit) e c'è un GM, Giancarlo Sarti, che sa bene come spenderli, tant'è vero che riesce a portare a Caserta l'uomo che nei due anni precedenti aveva allenato nientedimeno che la Jugoslavia, e prima ancora il leggendario Bosna Sarajevo campione d'Europa, il baffuto Boscia Tanjevic, l'uomo venuto dall'est.
Boscia ha in mente da subito il terminale offensivo perfetto per la sua nuova squadra, ci ha giocato contro a San Paolo qualche anno prima e se n'è innamorato. "Giancarlo, portami quello che piange e segna": atterra così a Caserta Oscar, la mano santa.
A fine stagione arriva il secondo posto in campionato e la promozione in A1. Oscar chiude l'annata a 30 punti di media e la sensazione è che "o Rey do triple" abbia appena cominciato.
Mentre in città si festeggia, Boscia è nel suo ufficio avvolto in una coltre di fumo a costruire la nuova JuveCaserta, quella che affronterà il massimo campionato nazionale.
C'è da prendere il play, Tanjevic vuole qualcuno che segni e che faccia segnare, e soprattutto che non sia americano. C'è un suo amico fraterno che corrisponde alla descrizione, non se la passa troppo bene ultimamamente (tra le altre cose ha seri problemi alla schiena) ma messo nelle condizioni giuste la sarebbe ancora uno dei primissimi play/guardia della lega, l'anno prima non giocava mica a Marid per caso.
Il problema è che pare abbia deciso di smettere con il basket giocato.
Tanjevic vuole provarci comunque, in un certo senso è come se volesse salvare quel ragazzo a cui è legato indissolubilmente dal baratro in cui sta precipitando.
Breve consultazione con Maggiò e parte la telefonata, dall'altro capo della cornetta risponde Mirza Delibasic.
"Ci sono Boscia."
Non c'è da stupirsi, è quasi un deja-vu che rimanda a quella volta che Boscia bussò a casa Delibasic per portarsi a Sarajevo il miglior talento della nazione. I tempi sono cambiati, ma i protagonisti sono gli stessi, sempre loro due.
Dopo il secondo titolo jugoslavo consecutivo, quello del 1980, vinto con Delibasic ancora assoluto protagonista, Tanjevic viene chiamato ad allenare la Jugoslavia. Per Mirza è ora di cambiare aria, di dimostrare qualcosa anche al di fuori dei confini slavi.
Il Real Madrid, che lo conosce bene, non si lascia scappare l'occasione.
Delibasic resta in Spagna per due anni, durante i quali porta, insieme all'amico Drazen Dalipagic, i Blancos sul tetto di Spagna nel 1982. La coppia slava, quando sintonizzata, è micidiale, ma il rendimento di Mirza è altalenante, strano per uno come lui.
Le motivazioni vanno cercate fuori dal campo: durante la stagione 1982/83 il suo matrimonio fallisce, il profeta di Tuzla si ritrova all'improvviso senza la persona amata, a migliaia di km da casa. I presupposti per rafforzare pericolosamente il vecchio legame con l'alcol ci sono tutti, purtroppo.
1982 - CASERTA, Italia
La JuveCaserta è una squadra di A2 con ambizioni di promozione. L'anno prima l'approdo alla massima serie era sfumato a causa dello spareggio di Siena contro Venezia, fatto che induce Maggiò a riprovarci con ancora più determinazione, non prima però di aver rivoluzionato la squadra, mandando via a fine stagione coach McMillan e i due americani Mike Stewart e Lloyd Batts.
Arriva l'estate, ci sono soldi (lo sponsor è importante, Indesit) e c'è un GM, Giancarlo Sarti, che sa bene come spenderli, tant'è vero che riesce a portare a Caserta l'uomo che nei due anni precedenti aveva allenato nientedimeno che la Jugoslavia, e prima ancora il leggendario Bosna Sarajevo campione d'Europa, il baffuto Boscia Tanjevic, l'uomo venuto dall'est.
Boscia ha in mente da subito il terminale offensivo perfetto per la sua nuova squadra, ci ha giocato contro a San Paolo qualche anno prima e se n'è innamorato. "Giancarlo, portami quello che piange e segna": atterra così a Caserta Oscar, la mano santa.
A fine stagione arriva il secondo posto in campionato e la promozione in A1. Oscar chiude l'annata a 30 punti di media e la sensazione è che "o Rey do triple" abbia appena cominciato.
Mentre in città si festeggia, Boscia è nel suo ufficio avvolto in una coltre di fumo a costruire la nuova JuveCaserta, quella che affronterà il massimo campionato nazionale.
C'è da prendere il play, Tanjevic vuole qualcuno che segni e che faccia segnare, e soprattutto che non sia americano. C'è un suo amico fraterno che corrisponde alla descrizione, non se la passa troppo bene ultimamamente (tra le altre cose ha seri problemi alla schiena) ma messo nelle condizioni giuste la sarebbe ancora uno dei primissimi play/guardia della lega, l'anno prima non giocava mica a Marid per caso.
Il problema è che pare abbia deciso di smettere con il basket giocato.
Tanjevic vuole provarci comunque, in un certo senso è come se volesse salvare quel ragazzo a cui è legato indissolubilmente dal baratro in cui sta precipitando.
Breve consultazione con Maggiò e parte la telefonata, dall'altro capo della cornetta risponde Mirza Delibasic.
"Ci sono Boscia."
Non c'è da stupirsi, è quasi un deja-vu che rimanda a quella volta che Boscia bussò a casa Delibasic per portarsi a Sarajevo il miglior talento della nazione. I tempi sono cambiati, ma i protagonisti sono gli stessi, sempre loro due.
Boscia mentre pratica il suo sport preferito con Delibasic: la cazziata. |
È l'estate del 1983, la JuveCaserta ha appena assemblato una coppia di
giocatori dal potenziale spaventoso: Oscar Schmidt-Mirza Delibasic. L'ultima
volta che entrambi sono stati sullo stesso parquet, a San Paolo, hanno segnato
74 punti in due.
C'è chi ha paura che un solo pallone non basti, data l'importante mole di tiri che entrambi si concedono solitamente in una partita, ma la sensazione generale è che l'anno successivo Delibasic avrebbe frantumato i record di assist e Oscar quelli di punti realizzati. Il duo funzionerà, Mirza ha anche smesso con fumo e alcol su preciso ordine di Boscia. A Caserta si assisterà a qualcosa di mai visto prima, due giocatori del genere da queste parti non era mai stati messi assieme. Inizia la preparazione, si giocano le prime partitelle, e quel #12 in bianconero assieme al #18 ci sta proprio bene.
Il popolo bianconero è impaziente, già sogna, e ha tutte le ragioni per volare con la fantasia.
Ictus.
Carriera finita.
Mirza Delibasic non giocherà una sola partita di campionato con la JuveCaserta.
Fa male, è una delle delusioni più grandi della storia di un club che da lì a poco ne vivrà altre altrettanto cocenti, prima di arrivare finalmente alla terra promessa.
1992 - SARAJEVO, Bosnia ed Erzegovina
La situazione è drammatica. Tuzla, Sarajevo e l'intera Bosnia sono un campo di battaglia.
Mirza è tornato a casa, i soldi sono pochi e vive per un anno in un appartamento fatiscente che da lì a poco sarebbe stato distrutto dalle forze serbe. L'alcol torna a fargli compagnia nei giorni in cui la solitudine si fa sentire di più.
La situazione si fa insostenibile, Mirza è costretto a trasferirsi in una vecchia pensione per scampare ai bombardamenti, non prima di aver messo al sicuro la famiglia trasferendola a Spalato, da alcuni parenti dell'amico fraterno Boscia.
Juan Antonio Corbalán, uno dei giocatori più grandi ad aver mai indossato la maglia del Real, gli propone di trasferirsi in Spagna, ma Delibasic rifiuta: "La mia città sta morendo. Rimango qui, morirò insieme ad essa."
Nel 1995 la guerra finisce, Mirza è sempre più debilitato, ma è vivo, cosa per nulla scontata.
Diventa l'allenatore del suo Bosna e successivamente il primo coach della Bosnia indipendente. Da lacrime la standing ovation che gli riserva il popolo madrileno durante la sua ultima visita, un'accoglienza che solo i giganti ricevono.
È la giusta conclusione di una carriera ed in generale di una vita irripetibile.
Mirza Delibasic, genio inquieto ed elegante, lascia questo mondo il 9 dicembre del 2001.
A noi non resta che un dubbio, una domanda che non avrà mai risposta.
Cosa sarebbe accaduto se la JuveCaserta avesse giocato la stagione 1983/84 con Delibasic-Oscar a dettare legge sui parquet d'Italia?
Forse la vita di Mirza sarebbe cambiata, così come quella di Tanjevic e di Oscar.
Forse la storia della JuveCaserta sarebbe diversa, e con essa anche la nostra storia.
Non lo sapremo mai, ci resta solo quella strana sensazione di orgoglio misto ad amarezza, tanta amarezza, per aver avuto all'ombra della Reggia, seppur per poco, Oscar Schmidt e Mirza Delibasic, la più grande coppia che non sia mai esistita.
Fonti:
Antonio Fiacco, memoria storica ufficiale di JCR
Basketnet- Ascesa e declino di una stella, Mirza Delibasic
Indiscreto - La domanda senza risposta di Mirza Delibasic
C'è chi ha paura che un solo pallone non basti, data l'importante mole di tiri che entrambi si concedono solitamente in una partita, ma la sensazione generale è che l'anno successivo Delibasic avrebbe frantumato i record di assist e Oscar quelli di punti realizzati. Il duo funzionerà, Mirza ha anche smesso con fumo e alcol su preciso ordine di Boscia. A Caserta si assisterà a qualcosa di mai visto prima, due giocatori del genere da queste parti non era mai stati messi assieme. Inizia la preparazione, si giocano le prime partitelle, e quel #12 in bianconero assieme al #18 ci sta proprio bene.
Il popolo bianconero è impaziente, già sogna, e ha tutte le ragioni per volare con la fantasia.
Ictus.
Carriera finita.
Mirza Delibasic non giocherà una sola partita di campionato con la JuveCaserta.
Fa male, è una delle delusioni più grandi della storia di un club che da lì a poco ne vivrà altre altrettanto cocenti, prima di arrivare finalmente alla terra promessa.
1992 - SARAJEVO, Bosnia ed Erzegovina
La situazione è drammatica. Tuzla, Sarajevo e l'intera Bosnia sono un campo di battaglia.
Mirza è tornato a casa, i soldi sono pochi e vive per un anno in un appartamento fatiscente che da lì a poco sarebbe stato distrutto dalle forze serbe. L'alcol torna a fargli compagnia nei giorni in cui la solitudine si fa sentire di più.
La situazione si fa insostenibile, Mirza è costretto a trasferirsi in una vecchia pensione per scampare ai bombardamenti, non prima di aver messo al sicuro la famiglia trasferendola a Spalato, da alcuni parenti dell'amico fraterno Boscia.
Juan Antonio Corbalán, uno dei giocatori più grandi ad aver mai indossato la maglia del Real, gli propone di trasferirsi in Spagna, ma Delibasic rifiuta: "La mia città sta morendo. Rimango qui, morirò insieme ad essa."
Nel 1995 la guerra finisce, Mirza è sempre più debilitato, ma è vivo, cosa per nulla scontata.
Diventa l'allenatore del suo Bosna e successivamente il primo coach della Bosnia indipendente. Da lacrime la standing ovation che gli riserva il popolo madrileno durante la sua ultima visita, un'accoglienza che solo i giganti ricevono.
È la giusta conclusione di una carriera ed in generale di una vita irripetibile.
Mirza Delibasic, genio inquieto ed elegante, lascia questo mondo il 9 dicembre del 2001.
A noi non resta che un dubbio, una domanda che non avrà mai risposta.
Cosa sarebbe accaduto se la JuveCaserta avesse giocato la stagione 1983/84 con Delibasic-Oscar a dettare legge sui parquet d'Italia?
Forse la vita di Mirza sarebbe cambiata, così come quella di Tanjevic e di Oscar.
Forse la storia della JuveCaserta sarebbe diversa, e con essa anche la nostra storia.
Non lo sapremo mai, ci resta solo quella strana sensazione di orgoglio misto ad amarezza, tanta amarezza, per aver avuto all'ombra della Reggia, seppur per poco, Oscar Schmidt e Mirza Delibasic, la più grande coppia che non sia mai esistita.
Fonti:
Antonio Fiacco, memoria storica ufficiale di JCR
Basketnet- Ascesa e declino di una stella, Mirza Delibasic
Indiscreto - La domanda senza risposta di Mirza Delibasic
Stupenda storia! Da brividi! Sarebbe stata una coppia davvero terrificante........ e invece no, ricordo ancora la pagina del Mattino all'indomani di quella maledetta nottata.
RispondiEliminaUna storia bella e con quel retrogusto amaro, che mi viene da dire, tipico di quei tempi. Dal punto di vista cestistico e' sorprendente osservare come una squadra della seconda lega italiana e dopo neopromossa in prima, potesse avere giocatori (e allenatori) di quel calibro. Del resto, se ci penso, qualche anno dopo a Pistoia, neo promossa in A2, sarebbero arrivati Joe Bryant e Leon Douglas. Altri tempi.
RispondiEliminaRicordo l'eccitazione di quell'estate. Ero convinto che quell'anno non ce ne fosse per nessuno. Fantasticavo sadicamente di vincere prima ancora di entrare in campo.
RispondiEliminaBellissimo articolo, mi ritrovo a leggerlo dopo aver letto la gazzetta odierna che rimandava a quell'epica partita Sirio-Bosna in Brasile (con Oscar che piangeva). Mi sono emozionato e, a dire il vero, non ero a conoscenza di questo retroscena Delibasic vs Caserta (forse ero troppo piccolo all'epoca). Questi articoli fanno bene all'animo..si fa fatica a leggere un pezzo di questa intensità emotiva oggigiorno. Anche se vivo a padova, da appassionato di basket, spero che Caserta ritorni in alto..lo merita.
RispondiEliminaBuon basket a tutti
Alberto
Delibasic era semplicemente il più grande giocatore mai apparso in Europa
RispondiElimina