La Sala Stampa “Mimmo Mingione” del Palamaggiò è
insolitamente silenziosa, nonostante sia come sempre piena. Il caldo è invece quello
umido e insopportabile di inizio giugno a Pezza delle Noci, tra il Volturno e
le colline di Castel Morrone. L’attesa è snervante, Pianigiani è già seduto da qualche minuto e rivolge un’ultima
occhiata alle statistiche della gara, ma la sedia riservata al coach casertano
è ancora vuota.
Non che ci sia molto da dire, ma per come è andata la serie,
e per salutare degnamente un’annata straordinaria in casa bianconera, si
attende avidamente che qualcuno dica qualcosa.
C’è nervosismo.
Com’è normale che sia per una serie di Playoff decisa all’ultima azione di una
gara 6 di raro agonismo, tanto rammarico, ma anche tanto orgoglio per i padroni
di casa, che con la standing ovation del Palamaggiò gremito hanno festeggiato nel
migliore dei modi la stagione che ha sancito il ritorno di Caserta alla
normalità, lontana dalle paure che da anni affollavano le teste dei tifosi ogni
Estate.Merito sicuramente del Patron Iavazzi, e finalmente anche Presidente, più
motivato che mai a difendere questi colori, e ovviamente al mecenate che ha
deciso di credere in questa realtà geograficamente molto vicina, ma molto lontana
sportivamente parlando.
Oreste Vigorito è un uomo di calcio, e il Benevento è una
terra che il pallone ama prenderlo a pedate, non certo accarezzarlo per
accompagnarlo ad un anello a 3,05 m di altezza. Eppure quasi un anno fa, dall’insistenza
di Iavazzi e la disponibilità del numero 1 degli “stregoni”, è nato quel
progetto che già al primo anno ha ottenuto il primo risultato: restituire la
JuveCaserta alla passione dei casertani, e viceversa.
Campagna abbonamenti iniziata in sordina ed esplosa poi
grazie al ritorno del figliol prodigo, 3500 abbonati che più che volenterosi di
supportare la Juve, sembravano pronti a fischiare al primo errore due degli
uomini più odiati dalla tifoseria bianconera, che ora per uno scherzo del
destino si ritrovavano dalla stessa parte. Uno in panca, l’altro in quintetto.
Coach Piero Bucchi aveva già assaggiato la sala stampa del
Palamaggiò dopo una gara decisiva di Playoff, era il 2010 ed entrò sorridente
dopo una non bellissima Gara-5 di Semifinale vinta contro la Juve di Sacripanti
e di capitan Di Bella.
Di Bella, ovvero un ex capitano di Milano ad una gara dal condannare l’Olimpia ad
una delle più impensabili disfatte che la storia delle Scarpette Rosse possa
ricordare - primo parallelismo in questa serata dolceamara nel Palazzo dei 100
giorni.
L’altro parallelismo, invece, riguarda proprio l’ex Coach di
Brindisi e Pesaro.
Ecco, avere sul tuo passaporto sportivo i timbri di Napoli,
Milano, Brindisi e Pesaro non ti pone in una facilissima situazione alla dogana
casertana, e infatti la notizia del suo arrivo “per avvicinarsi a casa” aveva
da subito incontrato l’ostracismo dei tifosi, organizzati e non.
“Inadeguato”, “Bollito”, “C’ha più botox in viso che schemi contro la zona”. Questi
i commenti più frequenti sui social e nei bar, oltre ai tanto banali quanto
invitanti giochi di parole tra il cognome della guida tecnica bianconera –
rinnovata in questi giorni con nuova scadenza giugno 2020 – e il termine che
nell’uso comune sta ad indicare la fellatio.
Ultima esperienza: Pesaro, insultato, non voluto, maledetto,
ripetute invocazioni pro Dell’Agnello e tanta, tanta diffidenza, eppure il
paziente Piero ha chiuso la stagione in un crescendo rossiniano, fino ai
Playoff contro Milano in uno scontro dal sapore tanto epico quanto antico.
Ecco, se sostituissimo il nome dell’attuale coach casertano, con quello di
Sacripanti, le storie non solo si sovrapporrebbero alla perfezione, ma sarebbero
anche un’evidente prova che il buon Vico non si sbagliava per niente con i suoi
corsi e ricorsi della storia in un susseguirsi ciclico degli eventi.
|
(lastelladelsud.altervista.org) |
Da ilota ad eroe, Bucchi entra in sala stampa esattamente come
merita chi ha vinto contro gli avversari, i limiti propri e della squadra, e anche lo
scetticismo dei suoi stessi tifosi: osannato.
Si siede, saluta l’avversario e senza pensarci due volte rompa il silenzio,
ormai assordante, della Sala Stampa.
“Oggi abbiamo perso, e mi dispiace, ma
francamente mi sento solo di ringraziare tutti, dalla società ai giocatori e ai
tifosi. Grazie, perché quest’anno mi avete regalato emozioni che pensavo di non
poter provare più. Quest’anno, mi avete aiutato a ritrovare la passione per
questo meraviglioso sport”.
Pausa scenica. Raccoglie l’applauso. Riprende: “Detto questo, di percentuali e rimbalzi
concessi non interessa a nessuno, e per non rubare altro tempo a voi tutti,
lascerò la parola ad un ragazzo che ci teneva tanto, questa sera, ad avere la
possibilità di parlare a tutti voi”.
Lascia il microfono, sorpresa e concitazione iniziano a farsi largo tra tutti
in un vocio crescente, ma l’ospite in questione compare già in sala, e prende
posto.
“Grazie Coach, volevo
davvero essere qui. Non per la partita, non per la stagione, ma per dare il
giusto saluto a tutti voi, a cui devo il più sentito dei ‘Grazie’ che abbia mai
pronunciato in questi quasi 26 anni di vita”.
Alessandro è emozionatissimo, è evidente, eppure sembra
avere il perfetto controllo dei pensieri e delle parole che scandisce con apparente
tranquillità.
D’altronde, è relativo parlare di tranquillità quando dal primo giorno in maglia bianconera, ha scatenato il clamore generale, tra
scetticismo e fiducia incondizionata, amore per un figliol prodigo e odio per
chi in realtà non è mai stato davvero figlio di questa città. Gentile non ha mai nascosto il suo sentirsi maddalonese, non casertano, avendo
indossato la canotta dell’Artus e mai quella bianconera. Lui che a Caserta poi, era già odiato e fischiato di default, come in
quasi ogni palazzetto d’Italia, perché supponente, perché irritante, perché “ah
se avesse la testa del padre”, “il fratello è meglio di lui”, “non merita
niente perché antipatico”. Come se l’antipatia contasse più del talento sull’altare
dello sport.
Dopo quel maledetto 2016/17, sembravano anche avere ragione,
gli “haters”, come li definisce lui stesso, sacrificato per lavare le colpe di
una delle più deludenti Milano di sempre, bruciato al Panathinaikos dove ha
trovato gerarchie troppo rigide per far spazio al talento, e all’ego, dell’ex
Olimpia, e poi Gerusalemme, proprio con Pianigiani, che a poco più di un anno
di distanza ritrova seduto ora di fianco a lui, sornione, uscito vincitore dal
catino infernale bianconero, con un biglietto per la Finale contro i vice-campioni in carica di Trento.
“Ho scelto Caserta nel
momento più difficile della mia carriera, e non certo perché mancassero le
alternative. Mezza Europa, tutta Italia, mio fratello a Bologna, tutti
avrebbero voluto la mia firma sul contratto. Ho scelto Caserta perché avevo
bisogno di trovare, prima ancora delle motivazioni e della continuità, me
stesso.”
Il #55 bianconero (il 5, purtroppo per lui, a Caserta non è
disponibile, ma questo lo sapeva bene) in realtà non ha solo trovato se stesso,
ma ha tirato fuori il meglio di sé, quel meglio che ancora non era riuscito a
mostrare, pur nella straordinarietà dei numeri collezionati fino ad allora.
Miglior realizzatore del campionato, 21 di media in
stagione, saliti a 27.3 in questa serie contro Milano, con il career high di
stasera, 32 punti di puro agonismo, di chi non avrebbe mollato la gara per
nessuna ragione al mondo.
Primo italiano per assist, secondo miglior
rimbalzista tra gli esterni e soprattutto, un’intera stagione vissuta mai sopra
le righe. Pacato, deciso, leader di un gruppo che quest’anno ha lanciato il
cuore oltre ogni ostacolo incontrato, all’inseguimento di un sogno naufragato
solo contro un’Olimpia che probabilmente è per la prima volta all’altezza delle
aspettative.
Torniamo in sala stampa. C’è l’applauso, lo sguardo soddisfatto di papà Nando e
quello emozionato di un Giannoni immobile accanto al protagonista della serata.
“Ho lavorato duro, ma
questo l’ho sempre fatto. Ho chiuso i contatti social, mi sono affidato al
miglior personal trainer, al miglior dietologo sportivo e al miglior motivatore
che conosco. In tutti e tre i casi, mio Padre.
Ho riacquistato la forma, ho voluto le redini della squadra in mano, e ho
promesso i Play-off, tra le risate generali”.
(“Gentile” e “Presuntuoso” è stato l’abbinamento più frequente nelle analisi
inquisitorie di CasertaCe, negli sgangherati link di GoldWebTV, e perfino sui più
piccoli blog locali, come JuveCaserta Report che in suo onore aveva iniziato la
rubrica “Toglietegli il vino”, con tanto di fotomontaggio accanto al redivivo
Stefhon Hannah, maestro nelle dichiarazioni avventate in preseason).
Quelle risate presto si sono unite ai cori, alle esultanze,
di un popolo che mano a mano ritrovava la passione smarrita, sopita, ed è
bastato un leader per farla divampare di nuovo, come dimostrano gli 8000 che in
qualche modo hanno invaso il Palamaggiò stasera.
Cercavano non un eroe o un condottiero, né un personaggio
della Marvel o un feticcio da adorare.
Il popolo casertano cercava un uomo, e così il figlio di Nando, scendendo sul
parquet che consacrò il padre, si è fatto uomo.
“Siamo arrivati dove
probabilmente all’inizio solo io credevo, e piano piano ho convinto tutti a credere
in quello che per me era chiaro. Perché la vedevo, perché la sentivo. Era la
passione per questo sport, che volevo trovare tra Atene e Gerusalemme, tra l’America
e Milano, e invece era qui, a 15 km da casa. E di questa rinascita, non vi
ringrazierò mai abbastanza”.
Il commiato, un sorriso sereno, che pare sereno per davvero,
poi si alza per allontanarsi, tra l’ennesima standing ovation della serata e l’assordante
risuonare dei clacson delle auto che all’esterno del Palamaggiò rispondono al
richiamo dello speaker di Radio Prima Rete.
In quel frangente però, in ognuno dei presenti e dei radio ascoltatori, cresce
forte il pensiero per cui, in realtà, la gratitudine non è per altri se non per
lui. Per Alessandro Gentile.
La nostra gratitudine, quella del popolo bianconero, e quello dell’intera Italia
cestistica, che ha riaccolto come una madre paziente, uno dei suoi figli più talentuosi.
Passato da nuovo Gallinari a nuovo Balotelli, condannato all’odio
sprezzante riservato a chi spreca il proprio talento, ha trovato la forza per
ergersi semplicemente a nuovo Alessandro Gentile, da ragazzo a uomo, sulle orme
del Padre.